LA FINOCCHIONA
Alcuni la chiamano “sbriciolona”, i senesi preferiscono la variante “finocchiata”, i fiorentini finocchiona, mentre la sua paternità è oggetto di contesa tra Campi Bisenzio e Greve in Chianti.
Al di là delle discussioni terminologiche e la storia delle sue origini, il suo sapore non cambia. La finocchiona, insaccato di carne di maiale, è una delle componenti fondamentali dell’antipasto toscano.
La finocchiona viene realizzata con maiale italiano allevato per almeno 9 mesi all’interno del territorio toscano. Di questo si prendono sia tagli magri che tagli più grassi, come ad esempio la spalla disossata, la coppa e la pancetta. Dopo essere passati nel trinciacarne, si mettono in un grande contenitore e si aggiungono sale, pepe macinato, pepe nero in grani, semi di finocchio.
In fase finale, il composto viene bagnato con il vino rosso del Chianti. Dopodiché l’impasto viene inserito in un budello naturale per poi passare alla fase dell’asciugatura a una temperatura compresa fra i 28° e i 25°. La stagionatura, invece, deve essere della durata di almeno 5 mesi.
la finocchiona abitualmente è consumata come antipasto e di solito accompagnata da semplice pane casereccio senza sale.
L’abbinamento più famoso è quello con le fave fresche (mangiate crude) e con il pecorino toscano, che va ad aggiungere alcune note di sapidità. Ma spesso fa bella mostra di se nei taglieri in legno insieme a mozzarelle, formaggi e salumi vari. L abbinamento, unico e non negoziabile è un buon bicchiere di vino rosso toscano.
Oltre ad un sapore unico, la finocchiona possiede anche una storia antichissima e curiosa, che comincia addirittura in epoca medievale. Si dice che a quel tempo, periodo di immobilismo e dunque di scarsi commerci, il pepe venisse spesso sostituito con i semi di finocchio, più facili da reperire e soprattutto meno costosi, perfetti per coprire il deterioramento della carne grazie al loro aroma tutto particolare.
L’utilizzo del finocchio per la realizzazione della finocchiona lo si deve non soltanto al suo sapore forte in grado di coprire il sapore poco buono alle volte della carne, ma anche per la particolarità dei suoi semi, che essendo ricchi di anetolo, riuscivano ad anestetizzare il palato e quindi, permettevano di bere insieme al salame anche un vino cattivo senza rendersene conto poiché il palato veniva via via anestetizzato dal finocchio.
Nel Chianti esiste ancora un vecchio proverbio su questa abitudine: “come gli abili parrucchieri sono capaci di far sembrare piacente anche la donna più brutta, così l’aroma della finocchiona è capace di camuffare il sapore anche del più imbevibile vino”.
Non a caso il verbo “infinocchiare” nella lingua italiana è divenuto sinonimo di inganno e raggiro ai danni di qualcuno.
Secoli dopo, i contadini continuarono a sfruttare questa proprietà dei semi di finocchio, aggiungendoli nella preparazione degli insaccati. E quando i nobili fiorentini venivano nelle campagne per acquistare il vino novello, i contadini erano soliti farglielo assaggiare insieme a un piatto di finocchiona, ingannando il palato e convincendoli così ad acquistare il loro prodotto. A quanto pare questa era una pratica molto utilizzata tanto che nel dizionario etimologico del Pianigiani del 1907 alla parola infinocchiare si legge: come fanno talora gli osti, che usano in abbondanza i condimenti e in particolare il finocchio, per far che le vivande sembrino migliori che non sono, e in una pagina dell’ “Illustrazione popolare”, un articolo alla voce “Motti popolari italiani”del 1869 indica l’espressione “infinocchiare” legata alle proprietà della pianta: Le foglie del finocchio e più i suoi semi tramandano odore acuto, aromatico. I cuochi se ne servono in alcune vivande, per esempio di porco onde togliere loro quel sapore salvatico che hanno in origine e così via discorrendo e infinocchiando sempre il palato.
Recentemente è diventato virale un fatto di cronaca: Facebook ha censurato un post promozionale contenente la parola ‘finocchiona‘, in quanto ritenuta offensiva e non in linea con gli standard del social network. Povera finocchiona, ma anche povero Zuckerberg che probabilmente non sa nemmeno cosa sia questo salame.
Finocchiona e arte
Per esempio Eugenio Montale in una poesia intitolata “Un mese fra i bambini” dichiara: «I bambini non hanno / amor di dio e opinioni. / Se scoprono la finocchiona / sputano pappe e emulsioni».
Oppure Carlo Monni, il diamante grezzo della comicità toscana, l’ultimo erede di una tradizione millenaria di poeti-comici-affabulatori-attori. Monni Amava la poesia, le donne, il vino e le «allegre brigate», e a tavola diceva spesso “ mescolo con forza poesia e finocchiona, Perché, vedi, la poesia è un brivido, tutto il resto è letteratura”.
Oppure il Grande Francesco Nuti e la sua indimenticabile lettura della politica italiana attraverso i salumi («La mortadella è comunista. Il salame è socialista. Il prosciutto è democristiano. La coppa liberale. Le salsicce repubblicane. Il prosciutto cotto è fascista. E i radicali? I radicali sono la finocchiona»)
E quando Tognazzi, Noiret, Stoppa, Moschin mangiavamo tra una scena e l’altra di amici miei tutti insieme, nelle trattorie di Firenze solevano dire che la finocchiona del Troia è meglio di quella di Camillo, la ribollita si deve fare col cavolo di gelata, nei fagioli all’uccelletto l’aglio non ci va.
E intanto Tognazzi si faceva regalare 5 chili d’olio ovunque andasse.
Oppure nel libro Cronache di poveri amanti, di Vasco Pratolini da cui poi fu fatto l’omonimo film con un giovanissimo Mastroianni in cui è presente la famosa scena della “Finocchiona”, comprata da Mario e che “non basta nemmeno come spuntino”.
E infine perche si usa la parola finocchio per apostrofare gli omosessuali
Forse nessun termine come questo ha suscitato ipotesi così contrastanti sull’etimologia. Innanzi tutto: l’uso di finocchio nel senso di “omosessuale” è recente, di origine toscana, diffusosi dopo l’Unità nel resto d’Italia (soprattutto grazie a scrittori “realisti” toscani (per esempio Prezzolini) che lo hanno utilizzato nei loro scritti. c’è però ad esempio chi propone un lambiccato fenor culi (in latino: “vendita del culo”) c’è chi lo ricollega all’ortaggio omonimo per l’assomiglianza dell’ortaggio alle chiappe. altri perché i finocchi detti “maschi” sono più gustosi di quelli detti “femmine”, altri perché “il finocchio è pianta agametica, cioè che si riproduce senza essere impollinata, e quindi non ha bisogno dell'”altro” sesso”. Oppure chi sostiene che nel medioevo, per coprire l’odore di carne bruciata degli omosessuali destinati al rogo sarebbe stato anticamente costume usare legno di finocchio selvatico), oppure fasci di finocchi buttati nel fuoco. A sostegno di tale tesi si ricorda la parola faggot, che in inglese significa tanto “fascina di legna” che “omosessuale”.
Infine c’è chi mette in relazione il significato odierno di finocchio con quello che la parola aveva nel medioevo, e cioè “persona dappoco, infida”, “uomo spregevole” .In questo senso lo troviamo ad esempio già in un apocrifo dantesco (sec. XIV): I sette salmi penitenziali,
E quei, ch’io non credeva esser finocchi,
ma veri amici, e prossimi, già sono
venuti contra me con lancie, e stocchi.
Quindi: da “cosa o persona di nessun valore”, la parola “finocchio” è passata a indicare “uomo spregevole”, che non vale nulla, che non merita nessuna stima, e poi, in senso più restrittivo, “uomo spregevole in quanto si dà alla sodomia passiva
Un’altro ultimo significato: la parola albanese finok, che indica sia l’ortaggio che un furfante, o un furbastro.
Infine il mio amore per la logica, una volta messe insieme tutte queste notizie mi ha fatto ipotizzare un altro significato: il termine finocchio utilizzato per delineare un omosessuale è stato coniato certamente in Toscana e allora perche non pensare alla cosa più ovvia? Dal vocabolario treccani vi leggo la definizione di infinocchiare: ingannare, imbrogliare, raggirare dando a intendere cosa non vera a quei tempi , in periodi oscurantistici così doveva essere considerato un omosessuale, ovvero un uomo che uomo non è , che da ad intendere ciò che invece è contrario da quello che si vede.
Alessandro Papini per la Compagnia della finocchiona