Firenze, 30 ottobre 1912
Il treno sbuffa, rumori stridenti di freni, il fischio della locomotiva, stiamo lentamente entrando nella Stazione di Firenze. Ho viaggiato per 22 lunghi giorni in nave da New York a Genova e da Genova in treno per raggiungere questa città, Firenze.
Il New York Times ha deciso di redigere una rubrica settimanale per far conoscere la cultura italiana che in questi tempi si sta affermando negli Stati Uniti a causa dell’immigrazione .
Mi chiamo John Goldwite Incontri e sono stato incaricato dal mio giornale, il New York Times, di scrivere una serie di articoli sulla cultura popolare e alimentare dell’Italia.
Ho avuto questo incarico perché parlo italiano. Ho deciso di iniziare da Firenze perché mia nonna, Laura Incontri, era fiorentina del quartiere di San Lorenzo e andò in sposa a mio nonno , George Goldwite console generale degli Stati Uniti.
Stasera ho un appuntamento con il N.H. Corsini proprietario de La Nazione, e vecchio amico di mio nonno, in Via Ricasoli presso la sede del giornale.
Ieri sera dopo aver fatto una chiaccherata con il Corsini, presso la sede del giornale ,
lo ho invitato a cena al mio albergo, il Grand Hotel in piazza Ognissanti.
LA FOLGORAZIONE
Ci siamo seduti, è arrivato il cameriere che insieme al menù ci ha portato un’ampolla di olio, due fette di pane arrostito , uno spicchio di aglio e il sale. Il Corsini ha chiesto al cameriere di passere l’aglio sul pane e poi , lui stesso, ha cosparso abbondantemente con l’olio il pane. Incuriosito ho anch’io fatto come il Corsini. Prima di dare il piccolo morsetto di assaggio ho domandato al cameriere come si chiamasse questo piatto. Fettunta – mi ha risposto con un po’ di stupore- con l’olio novo! Sono rimasto folgorato!
Il colore verde oro dell’olio, l’aroma, il sapore intenso. Sembrava che su quella fetta ci fosse tutta la campagna di Firenze che ancora non conoscevo ma che mia nonna mi aveva descritto con tanta dovizia di particolari.
Fu in quel momento che decisi senza indugi di iniziare da li, dalla fettunta, per parlare della cultura popolare italiana.
L’APPUNTAMENTO
Sto aspettando un certo Orlando, fattore della fattoria De’ Parigi.
Eccolo! Ci salutiamo e partiamo verso il podere per assistere alla “cerimonia” della frangitura.
Che frenesia! Mi apposto un po’ in disparte con il mio taccuino, il Sig.Orlando -ossequiato da tutti mi dice – con l’accento tipico fiorentino – :
la faccia come a casa sua Sor John, la mi scusi se un gli sto troppo dietro ma devo badare che le cose vengan fatte per benino … sennò, vero, chissà in do si va a finire!
Non si preoccupi Sig.Orlando stia pure attento allo svolgimento del lavoro, a me basta poter osservare.
Trainato da un bove arriva il primo carro pieno di sacchi di juta stracolmi di olive, dietro un altro, un altro ancora. Ne conto 5.
I contadini cominciano a scaricare i sacchi e gli ammontano nella sala prospicente il torchio. Uno di loro, all’apparenza il capo, a gran voce intima gli altri di iniziare velocemente la procedura poiché il tempo è dolce e i sacchi pieni e ammontati potrebbero far ribollire le olive, con il rischio di buttare tutto.
Le olive vengono rovesciate sacco dopo sacco nella scaletta che porta alla macina di pietra, qui vengono triturate e comincia a sgorgare il primo olio. Che emozione. L’odore di oliva, di foglia, l’aroma delle doghe di legno del torchio ,inonda l’aria e satura velocemente le narici.
Regna un silenzio operoso, mani esperte e veloci sanno quello che debbono fare e ognuno supporta l’altro senza intralcio.
Dopo quasi tre ore di lavoro frenetico arriva stravolto , ma felice,il Sig.Orlando, apre una porta e, meraviglia, c’è un tavolone apparecchiato!
Sedete! dice il Sig.Orlando ai commensali che nel frattempo erano arrivati. Oggi , dice, si fa alla bona! Un brodino per aprire lo stomaco poi salsicce all’uccelletta, prosciutto e soprattutto la fettunta! E poi brindiamo tutti co’ i’ vinnovo al nostro giornalista di New York – amico d’i so’ padrone – che ci racconterà tutti su i’ su’ giornale! Evviva! Evviva la fettunta!
Sono di ritorno a Firenze, sento già nostalgia di questa campagna; di questa gente; di questa cultura spicciola e popolare; di questi sapori, di questi odori; di Questa città.
Oggi ho conosciuto una giovane bellissima, capelli biondi dorati raccolti con un nastro celeste. Si chiama Elvira. Con il permesso di suo padre , il farmacista del paese, ho scambiato con lei giusto poche parole….. Non so cosa mi stia succedendo. Stai a vedere che faccio il viaggio inverso a mia nonna e rimango qui a ….. mangiare la FETTUNTA!
Giusto due note tecniche
La fettunta
Prendi 2 fette di pane casalingo alte 2 cm., arrostiscile 2 minuti per parte, strofinale ben bene con l’ aglio e cospargile, anzi tuffale nell’olio. Una presa di sale.
Tutto questo sembra banale ma non lo è.
Qualcuno definisce la fettunta una ricetta povera contadina. Il piatto è sicuramente di origine contadina ma non lo definirei povero, piuttosto lo definirei semplice. Semplice come il pane vino e zucchero, come il pane con il pomodoro strofinato condito con olio sale e basilico, come il pane burro e zucchero. Tutte ricette semplici di campagna, nate sicuramente nei poderi gestiti dai contadini, realizzate con le cose semplici e genuine che nascevano non a km.0 ma a metri 3, ovvero fuori dell’uscio di casa. Ricette a base di pane fatto veramente in casa – le massaie usavano cuocere il pane il martedì mattina e la sera lo adagiavano nella madia per consumarlo per tutta la settimana – . Con i residui di pasta e secondo i periodi, realizzavano dei dolci rustici tipo schiacciata con l’uva, con i fichi, con le ciliege, il pan di ramerino, con i pomodori secchi o semplicemente la schiacciata all’olio…. si la schiacciata a Firenze non la si chiami focaccia per l’amor di Dio!
Nel periodo di povertà i contadini, insieme a tanta altra povera gente, mangiavano le parti di verdura non vendibile e tante minestre vegetali. Con una fetta di pane facevano un compleanno! Figurarsi l’olio! No, ricetta povera no, semplice si.
Però la fettunta non nasce in casa ma nel frantoio e precisamente nei giorni della frangitura delle olive. I contadini chiamavano i” colleghi” dei poderi vicini per essere aiutati nella raccolta delle olive e per il trasporto delle medesime al frantoio – aiuto che veniva ricambiato nelle successive occasioni- , il fattore – figura di riferimento del padrone soggetto importante e fondamentale nel periodo della mezzadria- invitava le personalità locali tipo farmacista, maresciallo, direttore di banca , Podestà, Sindaco più tardi, assessore, prete ecc. E appunto alla fine della frangitura, negli stessi locali, era in uso far abbondante merenda con pane arrostito e agliato e l’olio appena sgorgato dalle macine che veniva messo al centro del tavolone in un tegame dove si provvedeva, letteralmente ,ad immergere il pane.
Tale tradizione adesso continua nelle trattorie dove viene servita la fettunta perlopiù insieme agli antipasti, ma anche nei ristoranti stellati, nel periodo dell’olio nuovo, viene servito un piattino insieme all’ampolla dell’olio e spesso un pane particolare.
E veniamo ai purtroppo!
Purtroppo in tanti ristoranti viene chiamata bruschetta !
Purtroppo spesso viene servito un olio che non ha niente a che vedere con l’olio delle nostre colline. Non ho tema di smentita nell’affermare che l’olio più buono in assoluto per fragranza , sapidità , proprietà organolettiche e salutistiche nasca sulle colline fiorentine …… poi vengono gli altri! Quindi fanno bene a chiamarla bruschetta!!!
Purtroppo, appunto, in tanti locali di ristoro di Firenze oltre all’olio scadente troviamo in tavola di default l’aceto balsamico e non il nostro tradizionale aceto rosso toscano.
Purtroppo, molto spesso, anche il pane è scadente o assolutamente inadatto per la fettunta.
Purtroppo anche la ribollita viene realizzata – non cucinata – in mezz’ora. Voglio fare un’esternazione.
La ribollita, che comunque ha per base pane e olio come la fettunta, dovrebbe essere la sublimazione della minestra di pane la cui procedura dovrebbe essere, anzi è la seguente:
si realizza un minestrone con le verdure di stagione e rigorosamente senza peperoni, petonciani, zucca gialla, cetriolo, prezzemolo e basilico;
si prende un pane cotto a legna – quindi con la midolla compatta – raffermo di almeno 3 giorni ;
si taglia il pane a fette sottili e si realizzano strati di pane, minestrone caldo, pane , minestrone caldo e via ad andare fino quasi al raggiungimento del bordo del tegame di coccio. La si lascia una mezz’ora a riposare affinché il pane si ammorbidisca anche nella corteccia. Mettiamo da una parte – in frigo- una tazza di brodo del minestrone.
Si serve la minestra di pane, eccezionale poiché ancora riusciamo a distinguere i sapori, pane compreso.
E’ il giorno dopo che si cucina la ribollita mescolando a fuoco lento la minestra di pane con l’aggiunta della tazza di brodo del minestrone scaldato – che il giorno precedente avevamo serbato- e un filo d’olio. Ecco pronto un piatto straordinario nella sua semplicità!
Si chiama ribollita perché viene nuovamente rielaborata il giorno dopo. Evidentemente non può essere cotta – badate bene cotta e non cucinata – in mezz’ora.
Ma ritorniamo alla fettunta.
Così Fabio Antonelli poeta:
Bruschetta a Napoli, a Roma Cappone
Fedda Ruscia in Calabria, e su in Piemonte diventa Soma d’aj …. ogni regione che sia di mare, lago, colle o monte
ha un suo modo e sua tradizione:
fette di pane abbrostolite e onte con olio nuovo, sale e poi in aggiunta lucida d’aglio …..è pronta la fettunta!
Così Alberano poeta e contadino:
La fettunta : antica come l’Albegna!
Parole lapidarie ma di indiscutibile saggezza, perché il misterioso fiume , L’Albegna, nasce alle pendici dell’Amiata e attraversa tanta parte della Maremma meridionale per sfociare alle Saline di Orbetello, con il pane e l’olio ed il vino sono i protagonisti di una storia del territorio e compagni di viaggio dell’Umanità che lo vive da tempo.
L’oro verde
E’ noto che in Toscana la coltivazione dell’olivo si diffonde già da prima del VII secolo A.C. in particolare nella Maremma Meridionale e nelle aree costiere. L’olio viene già da allora usato per condire gli alimenti, ma anche impiegato per preparare salse e pure le olive hanno presso gli Etruschi un posto importante come cibo che garantisca un enorme valore proteico.
E a tanta produzione di “oro verde” nell’Etruria meridionale si associa anche una diffusa coltivazione di cereali, in particolare di grano soprattutto, con rese che per i tempi sono eccezionali nel rapporto tra seminato e raccolto.
E ora che abbiamo messo sulla tavola un olio magari da olive di leccio e una sorta di pane cotto a legna e abbondanti porzioni di aglio abbiamo fatto scopa!
Mi par di vederlo un etrusco disteso sul triclivio che inzuppa generosamente la fetta di pane abbrustolito e lucida d’aglio impataccando la bianca tunica tra gli improperi della matrona !
Paolo Soderi per la Compagnia della Finocchiona